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Il coraggio di accogliere la Luce

  • 7 min read

La Gioia della Trasformazione: il coraggio di accogliere la Luce

Il progetto

La Gioia della Trasformazione non è solo un titolo di una pagina, è un modo di essere e di guardare il mondo. Non sempre si può essere nella gioia, ma sempre si può sapere cos’è la gioia e come ci si arriva o ritorna se ci siamo persi.

Una festa che si avvicina e simboleggia in maniera forte questo modo di vivere è la festa della Luce. Pian piano il progetto prende forma e ho pensato, in prossimità del nostro incontro, di scrivere qualcosa che ci prepari a vivere entrambi gli eventi.

Ho scelto un brano del Vangelo, sia per deformazione professionale, sia perché credo sia importante anche per chi non ha una fede cristiana, cogliere la ricchezza e la profondità di alcuni brani.

La scena si svolge a Betsàida, che significa “casa della pesca”, ossia un luogo dove c’eraUna giornata di pesca l’abbondanza di pesci e uccelli perché fondata sulle sponde del Giordano nel punto d’incontro con il lago di Tiberiade. Villaggio di nascita di tre fondamentali discepoli: Pietro, Luca e Andrea.

Il cieco di Betsàida

Il brano dice: Giunsero a Betsàida, dove gli condussero un cieco pregando (Gesù) di toccarlo. Allora preso il cieco per mano, lo condusse fuori del villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: «Vedi qualcosa?». Quegli, alzando gli occhi, disse: «Vedo gli uomini, poiché vedo come degli alberi che camminano». Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente e fu sanato e vedeva a distanza ogni cosa. E lo rimandò a casa dicendo: «Non entrare nemmeno nel villaggio». (Marco 8,22-26)

la solidarietàUn cieco, uno qualsiasi, colpito dalla nascita da quella cecità che ci accompagna così spesso nella vita. Esistono cecità di cui siamo consapevoli e cecità di cui ci nutriamo. Alle volte immersi nelle tenebre non capiamo neppure di avere bisogno di luce, perché i nostri occhi si adattano al buio, altre volte desideriamo la luce come una fonte di salvezza.

 

La cecità

Nei Vangeli ci sono diverse forme di cecità. In questo brano c’è un cieco che ha bisogno di essere condotto per mano, accompagnato da chi vede cosa può essere utile per lui. Scena che rimanda un incredibile tenerezza e la bellezza della condivisione, per cui, io che comprendo cosa genera la luce desidero guidare alla stessa fonte la persona che amo, verso la quale nutro affetto, stima, amicizia, con cui desidero guardare il mondo in maniera nuova.

Non c’è la minima titubanza in chi accompagna, c’è la certezza di una guarigione. Due movimenti: chi accompagna e chi si lascia accompagnare. Due movimenti di fiducia reciproca che si aprono alla fonte della luce.

Il rituale

Quindi il Maestro agisce. Solo al pensiero che qualcuno mi possa mettere la sua salivaGesù e i discepoli sugli occhi inorridisco. Eppure, è un gesto di una potenza sconvolgente.

La saliva viene generata nella bocca:

“Luogo di incontro tra la materia, il cibo, e lo spirito, aria e parole, attraverso la bocca il corpo riceve il nutrimento per la sua sussistenza; ma la bocca è anche la più alta manifestazione del Logos, del sentimento e della cultura, nonché sede della prima identità dell’uomo. Affacciarsi alla dimensione bocca significa anche calarsi nel mondo del piacere legato sia ai sapori della materia, sia a quelli delle relazioni e della sensualità, per allargarsi alla sfera della sessualità”.

A cosa serve la saliva? È indispensabile all’alimentazione, ad ammorbidire l’incontro con la materia esterna, utile nella medicina naturale. Crea l’armonia nel bacio come può diventare segno di violenza e disprezzo quando si sputa contro qualcuno o qualcosa.

Gesù compie quindi un rituale, antico, profondo e intimo. Prende dal luogo della sua esistenza, manifestazione del Logos, sede della sua prima identità di essere umano, la saliva e la dona con un doppio gesto delle mani: la mette sugli occhi e impone le mani. Dona e trasmette sentimenti, energia, volontà di guarigione, desiderio di comunione.

Istanti eterni in cui il tempo si dilata e si riempie di emozioni.

Vedi qualcosa? In questo momento così intenso sembra che il mondo si possa fermare. Un uomo abituato al buio totale che si fida ad aprire gli occhi nella speranza di cogliere ciò che non conosce, ciò che lo fa uscire dal mondo in cui è vissuto fino a quel momento. Luogo di dolore, ma anche di equilibrio interiore. Mondo unico a cui far riferimento per sopravvivere, in cui esisteva solo l’immaginazione, la rappresentazione mentale di ciò che altri gli raccontavano. Chissà quali pensieri sono passati in quell’istante. Immagino anche tanta paura.

Il coraggio di accogliere la luce

Si, ci vuole coraggio per aprire gli occhi e affrontare “qualcosa”. Ci vuole forza interiore per accogliere la domanda e affrontare il muro delle aspettative, il possibile fallimento. Fidarsi di chi ti dice apri gli occhi e guarda.

Alberi“Vedo gli uomini, poiché vedo come degli alberi che camminano”. Un cieco che sa cosa sono gli alberi e non sa come sono fatti gli uomini? L’albero con tutta la sua simbologia di vita e di legame tra cielo e terra. Gli occhi si aprono su qualcosa che conosce per paragonarlo a qualcosa che desidera conoscere e fa fatica a comprendere perché lontana dal suo vissuto. Vedere gli uomini non è così scontato e dal buio non si esce all’improvviso. C’è una gradualità che va rispettata.

Nessuna guarigione di una malattia che ha gettato nel buio può avvenire all’improvviso, di getto. C’è bisogno di un ulteriore gesto di fiducia reciproca che non sfocia in una seconda domanda, ma nella guarigione completa di vedere ogni cosa distinta e distante.

Immagino la gioia intensa mista a paura di iniziare a guardare le cose intorno, iniziare a comprendere che ciò che gli occhi vedono è realtà: stavolta è verità. Vedere che esiste un mondo nuovo, diverso, eppure lo stesso di quando al buio ne sentivo la presenza e ne immaginavo i contorni.

La guarigione a piccoli passi

La Gioia della Trasformazione in cui ogni passaggio è graduale, rispettoso della situazione e del tempo e che pone delle condizioni: “non entrare nemmeno nel villaggio”, nel luogo che potrebbe distruggere la tua gioia perché non accetta il miracolo, ossia non tornare indietro nel luogo che ha generato la cecità. Non tornare fino a quando non saprai realmente chi sei ora che hai accolto la luce. Prenditi un tempo.

Aprire gli occhi e vedere gli uomini richiede una vista guarita. Vedere l’uomo in movimento richiede il coraggio di accogliere la luce.

Ad ogni percorso di guarigione, ad ogni incontro di Costellazioni noi tutti siamo come il cieco o l’accompagnatore del cieco, ognuno per la sua parte. I nostri si occhi si aprono e improvvisamente vediamo ciò che prima non vedevamo. Ad ogni incontro noi scegliamo se tornare da dove venivamo o accogliere la gioia della trasformazione.

Ogni incontro è una danza delle emozioni, un momento eterno che segna una svolta della nostra vita.

Brunella

info@brunellalibutti.it

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