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A mia Madre

Un articolo diverso

Un articolo diverso. Un testo scritto tanto tempo fa rimasto nel cassetto. Un passaggio importante della mia vita, fondamentale per ciò che ho imparato nella relazione con mia madre piena di profondo amore e grandi distanze, che solo alla fine si sono ricomposte dentro di me. Una testimonianza che vi offro con tutto il cuore.

25 Dicembre 2018.

Come ogni anno a Natale mia madre racconta due episodi importanti della sua vita: di come fermò il suicidio di mia nonna in una strada deserta di una Roma del dopoguerra e di come anni prima, anticiparono il giorno della sua prima comunione perché la mamma stava morendo. Racconta e piange.

Piange come forse avrebbe voluto fare allora, ma non se l’è potuto permettere dovendo dimostrare in entrambi gli eventi, coraggio e forza d’animo.

Mia madre, nel 2018, ha quasi 82 anni ma le lacrime sono quelle della sua parte bambina rimasta ferma nel tempo, l’espressione di una memoria cristallizzata.

Memorie di dolore che cercano a qualche livello una redenzione, un’evoluzione, ma che paradossalmente diventano un’ancora, un punto fermo di cui non può fare a meno trasformandosi in una catena che impedisce la rinascita.

Mi torna alla mente l’immagine del dolore inchiodato alla Croce: un dolore fermo, sconvolgente eppure capace di attrazione.

Centro di energia in cui ogni uomo riconosce il proprio dolore, si ritrova emotivamente nell’ingiustizia, nella vittima innocente, nella devastazione dell’odio.

C’è chi costruisce lì la sua identità, c’è chi evolve e va oltre. Nel cristianesimo la Croce rimane vuota, c’è la discesa negli inferi del dolore che permette la Risurrezione, la Rinascita. C’è il “lasciare andare” l’evento del dolore sciogliendo nell’evoluzione la memoria di dolore.

Visione di fede, visione simbolica di un percorso che ogni persona deve fare per dare un senso alla sua stessa vita.

Quella bambina che piange sconsolata ha bisogno di essere abbracciata, teneramente accompagnata verso il distacco di quella memoria che non è più evento, per riprendere il percorso.

Non sono riuscita a farlo e mia madre non me lo ha permesso: tutta la sua identità si è strutturata nel tempo su quei due dolori fondanti, nella ricerca di giustizia, nella rabbia dell’impotenza, nella presunta re-azione al legame simbiotico con una madre impegnativa.  

Ripenso con tenerezza ad ogni ultimo Natale in cui la scena si ripeteva inevitabile: al mio iniziale desiderio di scrollarla tirandola via che si scontrava con la sua resistenza, fino agli ultimi anni in cui ascoltavo e le porgevo il fazzoletto riconoscendo la necessità per lei di rivivere così e solo così quella memoria.

In quei preziosi incontri con lei ho imparato sul campo la relazione con le memorie cristallizzate, come si formano, la loro funzione, le ripercussioni per i discendenti della mancata evoluzione ed elaborazione. Una palestra di vita e professionale che riempie il mio cuore di gratitudine perché mi ha insegnato il rispetto del “lasciare andare” anche chi vuole restare lì dov’è e non vuole seguire quella che tu reputi la salvezza.

Mia madre se ne è andata piena di memorie cristallizzate. È stata una sua scelta ne sono certa, perché aveva tutte le possibilità per fare diversamente.

Nel lasciarla andare così com’era ho permesso alla storia di evolvere e non ripetere lo schema e so che ora comprende che è stato un atto di amore e di libertà per lei e per me. 

Grazie mamma.

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